<<< Precedente <<              
                 
                 
17ª edizione - 1992

LA CACCIA ALLE STREGHE

ovvero PEIRINETA RAIBAUDO, LA "MASCA"

1622 -1623

Quando il vescovo Giovanni Francesco Gandolfo giunse, appena nominato, nella nostra città trovò la diocesi occupata in uno di quei processi che all'epoca erano quasi all'ordine del giorno: un processo per stregoneria.

La causa contro cinque "sventurate femmine", la cui protagonista si chiamava Peirinata Raibaudo, interessava il paesello di Castellaro, una amena località alle spalle di Mentone ed era iniziato il 5 settembre 1622.

Le donne, incriminate di innumerevoli delitti immaginari, erano reputate colpevoli di "aver fatto morire ragazzi con malefici, di correre in corso sotto forma di gatta e d'aver avuto commercio col diavolo vestito di rosso".

A nulla servì la deposizione del rettore del luogo, don Bernardino Balauco, che dichiarò la Reibaudo "scema di cervello, il vice fiscale Gabriele Peglione, sentendo pro tribunali davanti l'illustre Francesco Lascaris. signore del luogo, ricorrendo alla tortura", strappava alla Peirineta la confessione dei suoi misfatti.

Ella asseriva, infatti. di saper preparare unguenti con polvere di rospo, sangue di dragone e ossa di morti, con cui ungere "un bastone di avellano per poter andare in corso, che una volta il diavolo l'aveva portata in aria sino al luogo di Castellaro il vecchio, dove due individui chiamati Miran e Barraban, l'aveva costretta a rinnegare Dio", che era solita andare alle riunioni notturne che si teneva nei campi di Ventimiglia o nelle terre di Mentone alla mezzanotte e a cui partecipavano femmine di Dolceacqua, Camporosso, Ventimiglia, Mentone, Gorbio, S.Agnes, Castellaro e Castiglione, tutte col viso coperto.

La sentenza veniva pronunciata dal giudice Cristoforo Cumis nel gennaio del 1623: Peirineta Raibaudo veniva condannata a morte per strangolamento ad un palo in luogo pubblico e quindi ad essere bruciata.

Prima di procedere all'esecuzione la "masca" dovette fare solenne abiura nella chiesa di S. Pietro coll'intervento di Don Giulio Ricci. dottore in leggi e vicario foraneo. L'esecuzione ebbe luogo il 13 novembre. La Raibaudo, assistita dai padri Alfonso di La Spezia e Agostino di Genova e preceduta dalla Compagnia della Misericordia, andò al luogo del supplizio eretto davanti alla chiesetta di S. Antonio.

Lì fu strangolata per mano del carnefice e quindi bruciata come "masca". Le sue ceneri furono sparse al vento.

(dalla Storia della Città di Ventimiglia di G. Rossi cap. XVIII)